Di Maurizio Garbati  affaritaliani.it

clickhandler-ashxSappiamo bene come negli ultimi anni la robotica ha interessato ambiti sempre più vasti e diversificati e le sue applicazioni sono entrate a far parte della nostra vita quotidiana.

 Queste tecnologie hanno coinvolto anche il mondo dell’educazione e la nascita di una nuova area di ricerca che prende il nome di Robotica Educativa.

Diversi lavori  di ricerca, provenienti  soprattutto dall’area delle tecnologie didattiche, hanno posto l’attenzione sui nuovi ambienti e strumenti per l’apprendimento scolastico che possiamo  anche  definire contesti di  “apprendimento motivanti “.

La robotica educativa è un settore della robotica che si avvale di concetti e contributi di diverse aree disciplinari (tra le principali la cibernetica, l’intelligenza artificiale, la biologia, l’informatica, le neuroscienze e la psicologia ) e sviluppa metodologie e strumenti tecnologici al fine di favorire i processi di apprendimento naturali attraverso la realizzazione di robot programmabili in grado di interagire in maniera autonoma con l’ambiente.

Le applicazioni di questo settore stanno suscitando interesse in ambito educativo grazie alla diffusione di diverse tipologie di kit di costruzione robotica con caratteristiche di utilizzo che meglio si adattano ai vari livelli dell’istruzione, ma anche altri contesti e diversi fabbisogni educativi.

il quadro teorico di riferimento

“Uno dei miei punti fermi centrali è che la costruzione che ha luogo “nella testa” spesso si verifica in modo particolarmente felice quando supportata dalla costruzione di qualcosa di molto più concreto: un castello di sabbia, una torta, una casa di Lego, una società, un programma per computer, una poesia, una teoria dell’universo” (S.Papert, “I bambini e il computer” )

Seymour Papert è un matematico, informatico e pedagogista che dopo aver lavorato con Jean Piaget si trasferisce negli anni sessanta al MIT (Massachussets Institute Technology) di Boston per lavorare con il gruppo che si occupava di Intelligenza Artificiale e in particolare con Marvin Minsky. Uno dei centri di ricerca che maggiormente si occupa di sviluppo tecnologico e degli effetti che questo ha sulle dinamiche culturali della società odierna.

Senza entrare troppo nel dettaglio di teorie e legittimazioni pedagogiche occorre comunque ricordare che è stato merito soprattutto del costruzionismo di Papert l’aver messo in luce il ruolo degli artefatti cognitivi nella costruzione della conoscenza: questa è il risultato di un impegno attivo col mondo attraverso la creazione e manipolazione di artefatti tangibili (siano essi castelli di sabbia, programmi di computer, costruzioni lego, composizioni musicali, ecc.), che rivestano un particolare significato personale e che siano oggetti su cui riflettere. In altre parole secondo S. Papert la costruzione che ha luogo nella testa risulta più efficace se è supportata dalla costruzione di qualcosa di concreto.

Cercherò di sollecitare il lettore verso quest’area specifica della robotica che ha accompagnato buona parte nella mia attività di docente a cominciare, in modo pionieristico, dai primi anni ottanta quando si attivavano i primi laboratori di robotica educativa. Fin da allora preferivo chiamarli laboratori di progettazione microrobotica convinto che l’esperienza doveva collocarsi in una disciplina curricolare (Tecnologia) o in un contesto di area scientifico-tecnolgica. Le attività avevano una durata annuale di almeno 30 ore complessive e trovavano collocazione nelle ore di insegnamento della Tecnologia, nei laboratori sperimentali e successivamente nei laboratori extracurricolari quali ampliamento dell’offerta formativa delle singole Istituzioni scolastiche.

Un’esperienza che ha coinvolto ragazzi della scuola secondaria di primo grado e condotta  per oltre vent’anni. La robotica non era prevista ufficialmente nei programmi ministeriali e i testi scolastici non dedicavano che poche righe a questa tecnologia. Sono sempre stato convinto che la soluzione poteva trovarsi nella istituzionalizzazione di questa esperienza convinto che la robotica educativa non solo doveva avere una chiaro quadro teorico di riferimento, ma anche una sua legittimazione curricolare (dominio, procedimenti e linguaggi).Un laboratorio che doveva altresì rappresentare un’opportunità per migliorare l’educazione scientifica e tecnologica nel periodo dell’obbligo scolastico. Recentemente il MIUR ha pubblicato l’avviso per la realizzazione di atelier creativi e per le competenze chiave nell’ambito del Piano Nazionale Scuola Digitale (PNSD) in seguito al decreto ministeriale dell’11 marzo 2016, prot. N. 157. Si fa riferimento esplicito a robotica educativa ed elettronica educativa, logica e pensiero computazionale, artefatti manuali e digitali, senz’altro una didattica attiva e più motivante.

la mia esperienza

Compito non certo agevole considerato che i primi laboratori sono stati realizzati negli anni ottanta e che oggi la componentistica disponibile sul mercato si è notevolmente  evoluta. Andiamo per gradi: i primi materiali a disposizione erano fondamentalmente  set meccanici che, ovviamente, hanno privilegiato il versante progettuale di apparati meccanici, strutture e macchine.

Per realizzare le prime esperienze  di robotica educativa  ho utilizzato set  rappresentati dai  classici mattoncini assemblabili della Lego che appartenevano alla  serie Technic ( travi, piastrine, pioli connettori, assi, parti pneumatiche, i diversi tipi di ruote dentate, pulegge e cinghie, motori elettrici) che sollecitavano lo studente verso attività progettuali di apparati e congegni meccanici. Si realizzavano modelli meccanici avanzati con ingranaggi e meccanismi e lo studente iniziava ad apprendere conoscenze e concetti soprattutto della meccanica del moto. Si parlava allora di stabilità e instabilità delle strutture ed i ragazzi cominciavano a  comprendere problematiche non solo legate al movimento, ma anche ad  altri concetti più impegnativi come affidabilità, scelta ottimale e non ultimo il significato di artificiale. L’altro aspetto fondamentale del laboratorio di progettazione microrobotica era rappresentato dalla programmazione a computer dei modelli realizzati.

In robotica educativa la programmazione rappresenta una delle fasi fondamentali dell’esperienza e spetta al docente saper  didatticamente equilibrare  i momenti progettuali e quelli di programmazione. Diverse sono le tipologie di set didattici che a partire dagli anni ottanta la Lego, in collaborazione con  il MIT rendevano disponibili per le attività didattiche. Credo possa essere utile ricordare quelli che sono stati più utilizzati in ambito formativo: dai lego TC, Control Lab, The Intelligent House e successivamente la tecnologia riscontrabile nei prodotti lego Mindstorms.

I linguaggi erano adatti per ragazzi della scuola media e nel tempo sono migliorati di pari passo con l’evoluzione della componentistica : all’inizio la compilazione dei fogli di programma, secondo un codice binario, utilizzando il software Lego-Lines, la programmazione del Control Lab che “parlava inglese” e successivamente con i set Mindstorms  l’ RCX Code, Robolab, NXT-G (2006) con interfacce di programmazione facili da usare, funzionanti per icone, e basati sul software LabVIEW™ di National Instruments (uno dei partner ufficiali della Lego). Attualmente sono disponibili  set cibernetici di terza generazione (EV3)  che includono software e app gratuiti che consentono di creare, programmare e controllare il robot con PC, Mac, tablet o smartphone.

Senz’altro la svolta più importante in robotica educativa ha coinciso con la disponibilità sul mercato dei nuovi set cibernetici dotati  di un particolare mattoncino intelligente (RCX-NXT) . In pratica un piccolo e potente computer travestito da mattoncino Lego al quale si potevano collegare sensori e motori e che rappresentava  il “cervello” del robot e  dal quale si possono controllare i motori e ricevere feedback dai sensori.

I primi sensori disponibili erano di contatto,ottici, di rotazione e di temperatura tra i più comuni e successivamente con i nuovi set anche nuovi sensori di suono e distanza a ultrasuoni. Il mattoncino programmabile esegue i programmi che riceve da un normale PC attraverso un dispositivo di trasmissione a raggi infrarossi (ma anche con Tecnologia Bluetooth)  e sono gli stessi ragazzi che programmano il comportamento. I robot realizzati potevano interagire in tal modo con l’ambiente ed esibire dei comportamenti.

Come è possibile questo? Non è semplice farne   una sintesi breve che sia nel contempo efficace, ma occorre tener conto che nelle attività di robotica occorre formalizzare il comportamento dell’automa mediante regole che associano una condizione (sensore) ad un’azione (motore).Un esempio pratico: se il sensore di luce rileva un valore alto di luminosità allora si comanda l’accensione del motore. Altri esempi sono il robot che segue una linea nera collocata sul pavimento  attraverso gli input che gli arrivano dal sensore di luce che in base al valore misurato (chiaro/oscuro) dovrà opportunamente comandare i motori affinchè il robot resti sulla linea nera. Alla fine otteniamo un  comportamento complessivo esibito che è in realtà un insieme di comportamenti semplici che agiscono indipendentemente, ma concomitanti.

Il salto qualitativo non era da poco e anche sul piano concettuale si avvicinavano i ragazzi a concetti di cibernetica quali feedback e comportamenti emergenti. Pur nell’artificiosità di una differenziazione di tipologie di laboratori e tenuto conto che oggi robotica educativa significa fare esperienza con set dotati di mattoncini intelligenti (Robotica con RCX e NXT) , riconosciamo i due momenti portanti dell’esperienza: la soluzione di problemi di tipo meccanico e la realizzazione di strutture e la programmazione per il controllo di sistemi robotici.

Sul piano della sua spendibilità formativa il laboratorio di progettazione microrobotica , coerentemente con i procedimenti del pensiero tecnologico, si caratterizza per:

  • strategie di ragionamento e di problem/finding e di problem/solving implicate nelle attività di costruzione e programmazione di piccoli robot;
  • la ricerca di scelte razionali e di ottimizzazione delle stesse in attività di progettazione/realizzazione;
  • l’utilizzo di linguaggi specifici della tecnologia;
  • la valorizzazione dello strumento informatico visto non solo come fine, ma mezzo per nuovi e più stimolanti apprendimenti;
  • Abitua i ragazzi a lavorare in gruppo per individuare i problemi, scegliere  soluzioni,  verificare i risultati.

Possiamo dire che la robotica educativa ha senz’altro sviluppato diversi progetti,  ma come area di ricerca in campo educativo deve ancora lavorare su una progettualità di ampio respiro per superare del tutto la fase iniziale. La robotica educativa necessita, a mio avviso, di una sua collocazione precisa tra i saperi della scuola dell’obbligo attraverso una sua legittimazione curricolare  (curricolo verticale) in discipline affini appartenenti all’area scientifico-tecnologica potenziando in tal modo attività fortemente motivanti quali i laboratori scientifici e tecnologici. Nelle attività del laboratorio di robotica occorre tener conto sia del prodotto realizzato, ma soprattutto del processo cognitivo che ha sollecitato. E per far questo occorre tempo.